Onorevoli Colleghi! - Partendo dalle numerose denunce dell'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (ADUC) sui contratti di fornitura telefonica a distanza conclusi a mezzo di operatore telefonico-call center, abbiamo preso atto che qualcosa, nella riforma introdotta dal codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, non ha funzionato. Cosa impedisce al consumatore di far valere i propri diritti quando si trova con una fattura per un servizio non richiesto? O per un servizio che l'operatore gli aveva prospettato come gratuito o in promozione? O quando in un abbonamento viene taciuta l'esistenza delle tasse governative, di non poco rilievo? O quando, pur non avendo sottoscritto il contratto giuntogli per posta qualche giorno dopo la conversazione telefonica, il consumatore si trova con il servizio attivato? Nonostante le corpose norme del codice del consumo, dall'articolo 50 fino all'articolo 65, nonostante gli obblighi informativi orali e scritti (articoli 52 e 53), nonostante la possibilità di recesso incondizionato di dieci giorni e condizionato di novanta giorni (articoli 64 e 65), il consumatore si trova spesso insoddisfatto, si sente truffato per ciò che gli è stato prospettato dal telefonista. Soprattutto non riesce ad attivare le tutele che - apparentemente - lo riguardano.
Situazione attuale.
Il codice del consumo tutela i contratti a distanza prevedendo procedure che obbligano il professionista a informare, prima a voce poi per iscritto, sulle condizioni essenziali del contratto, compreso l'esercizio del diritto di recesso (articoli 52 e 53).
Sono previste due modalità di recesso:
a) una incondizionata di dieci giorni: il consumatore recede per qualsiasi motivo, anche senza alcun motivo;
b) una condizionata di sessanta/novanta giorni dalla conclusione del contratto, in caso non siano state date (o erroneamente date) le informazioni sul diritto di recesso o quelle di cui all'articolo 53.
Nel caso, poi, siano mancate le informazioni orali, o siano date successivamente alla conclusione del contratto, il termine per il recesso (di dieci giorni) parte da quando queste informazioni sono fornite, purché ciò avvenga entro i tre mesi successivi alla conclusione del contratto.
Ma quando avviene questa «conclusione contrattuale»? In due momenti, secondo le scelte del gestore:
a) spesso al momento della prima telefonata, quando l'operatore, per andare avanti, chiede l'adesione, oppure quando il consumatore chiede immediatamente di attivare quanto propostogli;
b) oppure all'attivazione del servizio, in una data spesso sconosciuta e non conoscibile in anticipo dal consumatore.
Il consumatore, quindi, quasi sempre ignora quando decorrono i termini per l'esercizio del diritto di recesso. A questo aggiungiamo il fatto che:
a) dopo tre mesi, se il professionista non ha adempiuto agli obblighi informativi, il recesso non potrà più essere esercitato;
b) molti scoprono le reali clausole contrattuali oltre tale termine, al recapito delle prime bollette che spesso arrivano dopo tre mesi. Il consumatore si trova quindi a pagare e a tenersi un contratto non voluto, o voluto alle diverse condizioni riferite in sede di conclusione contrattuale.
Si tratta di una conclusione contrattuale molto incerta e lesiva dei diritti del consumatore, quindi. Ad oggi, se pur l'articolo 53 del codice del consumo prevede che l'invio scritto delle informazioni debba avvenire prima o al massimo al momento dell'esecuzione del contratto, spesso così non è, in particolare per i servizi annessi ad altro contratto (promozioni, cambi tariffari, portabilità varie, attivazioni supplementari). In alcuni casi la ricerca delle clausole va fatta su intermet e, soprattutto per i servizi promozionali, è difficile capirci qualcosa. L'obbligo predetto, tra l'altro, non ha sanzioni effettive, ma tutt'al più serve allo slittamento dei termini di recesso: quindi, di fatto, il professionista può anche non spedire tali informazioni scritte, cosa che spesso accade.
Proposte di modifica.
All'articolo 1 della presente proposta di legge si prevede che le condizioni generali per esteso (non solo le informazioni essenziali) che regolano il contratto debbano essere inviate e ricevute entro e non oltre trenta giorni dalla conclusione dello stesso, quando l'esecuzione abbia avuto luogo immediatamente o prima del termine dei dieci giorni. Tutto ciò che non perverrà nell'informativa non potrà essere invocato, se non a tutela del consumatore.
A tale previsione, volta a garantire un termine per le parti entro il quale la vicenda contrattuale debba ritenersi definita, sono ricollegate due sanzioni ben più efficaci:
a) il termine per il recesso non inizierà a decorrere fintanto che non saranno arrivate le suddette comunicazioni, anche oltre i tre mesi attuali e a servizio già cominciato;
b) nel caso in cui il consumatore intenda recedere a seguito dell'invio delle condizioni, lo stesso non dovrà pagare alcunché per i servizi erogatigli nell'attesa.
Per questo motivo, non ci sarà bisogno di mantenere un termine per il recesso di sessanta/novanta giorni, che si propone di uniformare a dieci giorni anche nel caso di mancate o erronee informazioni. Ciò perché fintanto che queste informazioni non saranno state ricevute per iscritto, non inizieranno a decorrere i termini per il recesso.
L'esclusione dei contratti di fornitura ad esecuzione immediata.
Per i contratti di somministrazione e fornitura servizi (fra cui rientra la telefonia) che il consumatore acconsente a farsi attivare prima dello scadere dei dieci giorni, e cioè quasi immediatamente (articolo 55), il codice del consumo prevede una esclusione di tutela, inibendo il ricorso alle procedure di recesso, condizionato o incondizionato. E se è pur vero che rimangono in teoria per il professionista e il suo operatore del call center gli obblighi informativi, è anche vero che nel caso siano violati, non è prevista la sanzione del recesso, unica a tutelare il consumatore.
Questa previsione lascia scoperti numerosi servizi telefonici attuati tramite call center, soprattutto quando l'operatore convince il malcapitato dell'urgenza promozionale o dell'affare dell'adesione immediata.
Con l'articolo 1 della presente proposta di legge si modifica questa disposizione, lasciando il ricorso alle procedure previste dall'articolo 65 del codice del consumo, cioè consentendo al consumatore almeno il recesso condizionato all'inadempimento degli obblighi informativi.
Naturalmente, se il contratto ha esecuzione prima del termine dei dieci giorni, il consumatore avrà unicamente il diritto di recedere nei casi di mancata o erronea informazione orale o scritta, essendogli precluso (come è adesso e come rimane) il recesso incondizionato di dieci giorni (articolo 55).
Tutto ciò dovrebbe avere l'effetto di aumentare il controllo sul proprio personale da parte delle aziende che si avvalgono dei call center nella conclusione dei contratti. Una situazione che può facilitare la chiusura stragiudiziale e quasi indolore di episodi con telefonisti, adescatori di strada e quant'altro cada nella disciplina del recesso e del diritto al ripensamento.
Spesso è necessaria la tutela giudiziale, non avendo il contraente risolto il problema alla radice (recesso/ripensamento).
Né il sistema civile né quello penale offrono al consumatore una tutela adeguata. Per questo si propongono due modifiche all'attuale normativa, per disincentivare gli abusi e garantire tempi giudiziali più celeri, abrogando gli ostacoli che ad oggi rendono lunga, faticante e disincentivante la causa civile.
All'articolo 2 della presente proposta di legge si stabilisce l'abolizione dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione.
Se pur in astratto, l'istituto ha il lodevole scopo di defluire il contenzioso al giudice di pace e al tribunale, ma di fatto ciò si traduce in un ostacolo e in un ritardo che disincentiva il consumatore dal farsi valere in giudizio. La norma attuale prevede che la conciliazione avvenga gratuitamente al Comitato regionale per le comunicazioni (Corecom) di ogni regione, mentre negli altri istituti (quali le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), in caso di esito positivo della stessa, le parti devono pagare una cifra nemmeno irrisoria. Ciò significa che chi, ad esempio sta a Grosseto e deve contestare una bolletta, dovrà recarsi a Firenze, al Corecom della Toscana, per poi tornare al giudice di Grosseto per l'eventuale giudizio. Nulla di male, a parte il viaggio e il tempo che già di per sé spesso risultano antieconomici se paragonati al valore della controversia. Ma il tutto diviene diabolico laddove il Corecom, in quanto filtro obbligato di tutte le controversie della regione, è intasato e costretto a rinviare di mesi l'udienza richiesta!
Insomma, per defluire i giudizi si è creato un imbuto, un ingorgo dilatorio e oggettivamente insostenibile per chi reclama